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Inizio/ Fine

 

INIZIO/ FINE.

Premessa narrativa.

L’ultima pubblicazione  su questo blog risale a Settembre 2023. In quasi quattro mesi ho raccolto idee e lavorato a progetti che definirei “paralleli”. Ho continuato a scrivere provando a sperimentare generi diversi.

“Inizio/ Fine” non è altro che un breve esperimento personale.

Una storia, con un suo protagonista, del quale però racconto solamente l’inizio e la fine, appunto.

Nel mezzo ci sta di tutto.

Nel mezzo, potete metterci di tutto. Immaginare voi come siano andate le cose.

La sinossi per continuare questa storia c’è già, tuttavia, essendo un esperimento letterale, vorrei sapere cosa ne pensa il lettore. Cosa metterebbe il lettore nel mezzo tra “Inizio” e “Fine”.

Come sono andate le cose, secondo voi?

Abbiamo a disposizione la sezione “commenti” compilabile anche in forma anonima. Divertiamoci.

 

 

 

 

 

“Fight Club” è un romanzo di Chuck Palaniuk.

Ne hanno tratto un film, diretto da David Finch.

C’è un primo piano del protagonista, in una delle sequenze iniziali, intento a premersi le tempie con le dita.

La voce fuori campo è la sua.

“Tutto è una copia, di una copia…

…di una copia”.

 

5:00 AM.

La melodia polifonica dello smartphone lo costrinse ad aprire svogliatamente gli occhi.

Due rapidi tocchi sullo schermo bastarono per interrompere quel fastidio.

Piantò un pugno sul materasso e premette con forza, altrettanto svogliatamente si mese a sedere.

Passò lentamente entrambe le mani sul volto stanco: inizia un’altra giornata.

Si trascinò lungo il corridoio, infine in bagno. Il primo mitto fu liberatorio. Gli bruciò, quasi.

Non perse nemmeno tempo a lavarsi le mani. Incurante della scarsa igiene personale, si spostò in cucina.

Accese la lampadina dell’aspiratore posto sopra ai fornelli e mise a bollire l’acqua.

Impiegò mezz’ora per bere l’americano e leggere la rassegna stampa.

All’ennesimo errore ortografico, piazzato in bella vista nel titolo di una notizia, si innervosì e decise che era giunta l’ora della doccia.

Impiegò poco meno di dieci minuti per rivestirsi. Optò per la scelta classica, jeans e camicia, gli stessi del giorno prima. In ufficio, nessuno vi avrebbe comunque fatto caso.

 

Mischiato nel traffico del mattino, passò buoni venti minuti ad inveire mentalmente contro gli illusi dell’eco-green. Supponenti snob del ceto medio con suv alimentati a batteria.

Convinti di risolvere la crisi climatica semplicemente con una comoda scelta fatta al concessionario.

Senza considerare che le “terre rare” sono rare per qualcosa. Senza tenere conto che si inquina più ad estrarle che a bruciare petrolio.

Quella riflessone, fatta così, di pancia, lo innervosì parecchio.

Regolò il volume della radio ad un volume sufficientemente alto da distrarlo.

 

Una volta giunto in ufficio, si rese subito conto che la diretta per National Geographic era già iniziata.

Scimmie urlatrici saltellanti, ovunque. Da un box all’altro, trasportano fogli senza uno scopo apparente se non quello di mostrarsi affaccendate e compiacere così il capobranco.

Box ufficio due metri per due, le tane. Telefoni che squillano con volumi e melodie diverse, gli uccelli.

Il branco che si riunisce nell’ora del meeting di reparto. Le scimmie più piccole saltellano con più vigore, alcune addirittura spulciano il capobranco, nella speranza di una banana in più.

Poi di nuovo ognuno nella propria tana.

 

La moderna giunga tecnologica, ci ricorda che in fondo, non siamo così evoluti.

 

Lui osserva questa giungla, la critica. Mentalmente castiga sé stesso per le scelte fatte che l’hanno portato a farne parte. Ad unirsi al branco. Anonima scimmia imitatrice di altre anonime scimmie.

Terminata la diretta National Geographic, tornò in macchina, per mischiarsi ancora una volta traffico serale.

Zapping ossessivo tra le stazioni radio per distrarsi dal resto.

Arrivò a casa mentalmente drenato di ogni risorsa e consapevole che l’indomani non sarebbe stato differente.

La routine serale prevedeva quattro semplici fasi: doccia- cena- TV- letto.

E lui questo fece.

Doccia.

Un precotto al microonde.

Fissò la TV per circa un’ora e mezza senza prestare troppa attenzione a ciò che compariva sullo schermo.

Attivò la sveglia delle cinque e si mise a letto.

 

 “Tutto è una copia, di una copia…

…di una copia”.

 

 

5:00 AM.

La melodia polifonica apparteneva a due distinti dispositivi. Due “bip” quasi sincronizzati ma con tonalità diverse.

Aprì gli occhi e fu investito da una luce accecante, estremamente fastidiosa. Provò anche a ruotare il capo in entrambe le direzioni, ma gli riuscì quasi impossibile.

Un conato fortissimo gli riempì il torace sino in gola. Quasi non poté respirare.

Un secondo conato, quasi più forte del primo, gli fece muovere, di riflesso, la mano verso la bocca.

Qualcosa di rigido gli impediva la cavità orale. Se ne liberò in maniera traumatica. Osservò disorientato quel tubo coperto di muco. Poi lo sguardo finì sull’altro braccio, quello che non era riuscito a muovere.

Due aghi, infilati in due porzioni distinte dell’avambraccio, permettevano l’infusione di due distinti composti.

Un liquido giallo semitrasparente ed uno bianco, denso.

I “bip” che prima sentiva ritmici e cadenzati, si fecero più incalzanti.

Provò ad urlare ma ne uscì un fioco rantolo. Una fitta secca gli trapassò la gola.

Agitò l’unico braccio che poteva muovere ed iniziò a tastare l’ambiente intorno a lui. Lateralmente, avvertì qualcosa di simile ad una griglia plastificata. Si sentì in gabbia.

Scese con la mano destra prima lungo il torace poi vero l’addome. Era caldo, era lui. Capì di essere steso su quello che gli sembrava un letto.

Raccolse le forze e provò a piegare il capo verso il basso per avere una visuale differente.

L’addome nudo gli apparve tumefatto in più punti. Un tubo in silicone usciva dal fianco sinistro e proseguiva oltre la sponda del letto. A quella vista, l’agitazione gli montò dentro. Vide le sue gambe, immobili.

Provò a scalciare in preda a quello che, a questo punto, era vero e proprio panico.

Nulla si mosse in basso.

L’istinto prevalse sul dolore alla gola, ne uscì prima un suono simile ad un grugnito. Poi provò con più energia e questa volta sembrò un vero e proprio grido di aiuto.

 

A turno quasi finito, Giselle, infermiera di Terapia Intensiva, tutto si immaginava meno che il risveglio del paziente “letto 115”, in coma ormai da una settimana.

L’urlo vibrò nel corridoio facendola saltare sulla sedia. La scarica di adrenalina che ne conseguì, la destò completamente. Presa da quel furore giunse in prossimità della stanza.

Non fece in tempo ad entravi che si sentì toccare da dietro. Bastò una mano posata sulla sua spalla sinistra per congelarla sul posto.

Due uomini, in abito scuro, le erano dietro.

“Vada pure, pensiamo noi al signor Anderson”.

 

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